domenica 7 giugno 2020

IL RISPARMIO DEGLI ITALIANI? IL RISPARMIO DEGLI ITALIANI!


In questi ultimi giorni si parla diffusamente dei risparmi degli italiani, fonti ufficiali ABI e Banca d’Italia, comunicano dati ‘freddi’ che in sé devono essere analizzati e dovrebbero essere considerati come fondamentali per la nostra classe politica.
Analizzando questi dati si evince che, negli ultimi anni, il risparmio degli italiani ha i seguenti numeri, che la annoverano tra i paesi  ‘formica’:
2019: 4.445 miliardi di euro
2018: 4.218 miliardi di euro
2017: 4.274 miliardi di euro
2016: 4.117 miliardi di euro.
Mi permetto di sottolineare come il dato 2019, con un’ economia, all’epoca, in quasi totale ripresa fino al febbraio 2020, aveva portato comunque il consumatore a ‘spendere’ in maniera fortemente ridotta, avendo di conseguenza un maggiore risparmio.
Non faccio la suddivisione delle varie voci che rappresentano il risparmio, ma sono le ‘classiche’: bot, titoli azionari, titoli finanziari, riserve assicurative, fondi comuni, vari depositi, conti correnti, ecc. Né tantomeno, in questa occasione, mi interessa la suddivisione per regioni o macro aree.
L’economia – così si legge sui manuali  – evolve attraverso l’alternarsi di riprese e recessioni. Cioè dopo i trimestri di vacche grasse (tipicamente più numerosi e complessivamente più robusti in termini di nuovo reddito prodotto) arrivano quelli di vacche magre, concentrati in pochi ma spesso intensi momenti di contrazione dell’attività economica.
Se si vuole far ripartire il sistema economico (...se…), riportandolo al regime del biennio 2018/2019, tenendo conto anche della fisiologica (spero solo fisiologica, ma ho qualche dubbio) perdita del potere di acquisto, bisogna spingere su quello che è tecnicamente indicato come ‘piano di rilancio dei consumi’.
Alla fine pongo questa riflessione, per contrastare la più violenta recessione dal dopoguerra, che è quella in cui siamo caduti ed ancora ci troviamo (affermazione espressa dal fior fiore degli economisti), perché la vicina, ma non ‘confinante’ Germania, ha varato (la scorsa settimana) una maxi-manovra di stimolo pari al 4% del Pil che punta su consumi e investimenti anche verdi, taglia IVA e bollette, aiuta imprese e famiglie e noi no? Manovra definita “Der Wumms”, quindi “boom o big bang”.
Perché noi (Italia) dobbiamo perdere tutto questo tempo, considerando che gli strumenti legislativi per fare presto ci sono, e sono costituzionalmente adattabili ad una situazione di emergenza come questa? Oppure, si vuole che il nostro sistema economico, si regga proprio sull’erosione di quei risparmi, che gli italiani sono riusciti a gestire, nonostante la crisi 2008-2012?
Un’ affermazione a me cara è quella di Thomas Manfredi (studio sulle stime OECD Economic Outlook 2008-2013 ATTENZIONE ALLE STIME… «durante la Grande Recessione la crescita, in particolar modo quella a medio termine, è sempre stata abbondantemente sovrastimata».
Nell’ambito delle riforme, si deve perentoriamente tenere conto, così come indicato da vari studi, che a fine maggio 2020, vi era 1 famiglia su 5 in difficoltà economiche, con tutto quello che ciò comporterà in termini sociali, se non si interviene praticamente sulle esigenze di chi era già ultimo della classe sociale, che certamente, per motivi che sono riscontrabili da tutti, aumenteranno.
Al riguardo, perché non si adotta una politica sociale come quella della Francia? Un solo breve esempio dei ‘cugini’. Per ogni figlio, la famiglia ha diritto al premio alla nascita (944,51 euro) finalizzato alla copertura delle spese sostenute per l’arrivo del bebè. Il bonus è concesso a patto di non superare determinate soglie di reddito peri a 41.840 euro in coppia oppure 31.654 per madri single al primo figlio. Esiste anche un premio per le adozioni, ma la somma è inferiore ed è sempre differenziata a seconda della situazione familiare (coppia o single). Tutto si muove tramite i Centri francesi per l’assegnazione degli aiuti alle famiglie (Caf).
1. Perché non adottare misure analoghe anche in Italia? Siamo stati uno dei primi paesi, rispettando determinate direttive comunitarie, ad ‘imporre’, per qualsiasi richiesta, la presentazione del modello ISEE (indicatore situazione economica del nucleo familiare). Quindi uno strumento di 'controllo' sulla situazione economica di una famiglia esiste già.
2. Perché si vuole perdere così tanto tempo? Perseverando in errori di gestione di una emergenza così particolare.
Alla larga, cortesemente, risposte tipo il sistema burocratico impone lentezza, perché potrei fare mille esempi di burocrazia superata ampiamente in breve tempo.
O vi sono delle ottusità politiche che permangono e fermano queste riforme che andrebbero fatte nell’immediato?
La storia economica risponderà sicuramente, dando ragione o meno a tutti gli attori politici di questo paese, ma il senno di poi, confermerà che è già oggi troppo tardi.
Ricordatevene.

venerdì 29 maggio 2020

LA SENTENZA 350/2013, IL FLOP GIURIDICO E LA LEGGE SULL’USURA BANCARIA


LA SENTENZA 350/2013, IL FLOP GIURIDICO E LA LEGGE SULL’USURA BANCARIA



Una delle sentenze fondamentali sull’Usura, in particolare quella della Suprema Corte di Cassazione n° 350/2013, statuiva, ai fini dell'applicazione dell'articolo 1815 del codice civile e dell'articolo 644 del codice penale, che si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito nella legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo di "interessi moratori".

La pronuncia sembrerebbe chiara e priva di ulteriori possibilità interpretative: la mora va inclusa nel calcolo del Tasso Effettivo Globale (TEG).

Tra l'altro tale affermazione non era nemmeno così innovativa in quanto già la Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi nei giudizi di legittimità costituzionale sollevati dalla Legge 24 del 2001 (interpretazione autentica della legge 108 del 1996), ha precisato che "va in ogni caso osservato che il riferimento contenuto nell'articolo 1, comma 1, del Decreto Legge numero 394 del 2000 agli interessi a qualunque titolo convenuti rende plausibile l'assunto secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori" (Corte Costituzionale 29 del 2002).

La primissima interpretazione errata della sentenza, da sempre smentita, anche ma non solo, prevedeva che il tasso di mora si sarebbe dovuto sommare tout-court al tasso contrattuale.

Per intenderci, supponendo un tasso di mora del 8%, ed un tasso contrattuale del 5%, il risultato del tasso complessivamente applicato sarebbe stato (non comprendendo secondo quale principio matematico) del 13%, esattamente 8+5.

Questa teoria, come dimostrato da una serie di pronunce sfavorevoli, che, peraltro, hanno causato una serie di condanne per lite temeraria, risulta essere completamente assurda, per poche e semplici ragionevoli considerazioni: il tasso corrispettivo si applica sul capitale residuo del mutuo mentre il tasso di mora si applica sulla rata scaduta e non pagata.

Le condizioni per cui, tantissime contestazioni bancarie, hanno portato l’attore principale, soggetto privato o fiscale indifferentemente, a sopprimere in fase di istruttoria giudiziale, è dovuta a due fattori, che indicherò brevemente di seguito, dopo descrizione del significato del TAEG e del Tasso si Mora.

TAEG: Tasso Annuo Effettivo Globale ed è espresso in percentuale, è il dato reale e preciso che indica quanto si paga di interessi su un mutuo, un finanziamento o un prestito.

Tasso di Mora: interessi che il debitore deve pagare nel momento in cui non rispetta gli accordi presi in contratto e che, pertanto, lo pongono dinanzi alla necessità di corrispondere una penalità per il ritardo. La mora è infatti il ritardo. Non bisogna quindi confonderli con gli interessi corrispettivi che, invece, sono quelli dovuti come controprestazione di un prestito e che sono dovuti quindi anche se non c’è inadempimento.

Il primo ‘errore’ di sostanza, compiuto in fase di contestazione è legato nella maggior parte dei casi alla incompleta documentazione fornita in causa, infatti spesso sono allegati alla contestazione documenti non tecnicamente descrittivi di quello che è in realtà il contratto e la sua ‘vita’ dall’inizio degli accordi fino al momento della interruzione dello stesso, per qualsiasi causa sia avvenuto.

Il secondo ‘errore’ è la gestione approssimativa, fatta nell’ambito della contestazione da parte del consulente tecnico di parte, incaricato dal privato o dall’azienda, sottolineo come in questi anni si scoperti esperti della materia, che con svariati tentativi hanno cercato di ‘forzare’ il concetto matematico, rimanendo fermi sulla sommatoria degli interessi che non andava assolutamente fatta e che portava ad un errore di merito, da un punto di vista tecnico.

A questi due punti si può aggiungere la tendenza, da parte dei collegi giudicanti, salvo qualche rara eccezione tutt’ora legata ad una corretta impostazione documentale della causa civile o penale, della tendenza ad essere pro banca a priori, onde evitare di fornire sentenze che potrebbero dare luogo ad una serie di precedenti, tali da portare le banche nel soccombere, e quindi obbligate a risarcire migliaia, se non milioni di utenti, raggirati dal sistema finanziario.

Si consideri, inoltre, che il dato percentuale delle azioni legali ‘contro’ il sistema bancario, conclusesi con la vittoria per il privato o per l’azienda, è ancora troppo basso, se confrontato con il numero generale di cause. Si sono ottenuti, nella maggior parte dei casi di vittoria risarcimenti cospicui, per questo è fondamentale una attenta analisi dei documenti e dei contratti collegati ai rapporti finanziari oggetto di contestazione. La sentenza 350/2013 della Suprema Corte di Cassazione è ancora attuale e può comunque essere un fiore all’occhiello giuridico, per svelare tutte le anomalie interne al rapporto finanziario, con l’aiuto del Testo Unico Bancario (TUB) e della Legge 108/1996 ‘disposizioni in materia di usura’.

A futura memoria, mai come nel caso della sentenza e delle leggi ad essa collegata, è fondamentale scindere ed approfondire dettagliatamente le questioni di metodo e di merito, prima di intentare una causa che nel 90% dei casi può terminare con la soccombenza di chi la intenta.



Dott. Mario Mirabelli

Centro Servizi San Geminiano Modena

IL TEMA DELLE EROGAZIONI BANCARIE AL TEMPO DEL CORONA VIRUS


IL TEMA DELLE EROGAZIONI BANCARIE AL TEMPO DEL CORONA VIRUS

Mi occupo di rapporti banca impresa da circa 21 anni, ho constato come vi sia stato un cambio di impostazioni negli stessi, principalmente dovuto alle dinamiche obbligate dai ‘famosi’ parametri di Basilea 2 e Basilea 3.

L’impostazione del rating, concetto obbligatorio perché all’interno delle dinamiche basate sugli accordi di Basilea (2) ha portato la banca ad una maggiore attenzione relativa all’erogazione, già da qualche decennio, trasformando la banca, la filiale in un vero e proprio ‘negozio’ di vendita di servizi finanziari.

C’è da sottolineare come il sistema di finanziamento al quale da sempre le aziende attingono le liquidità necessarie per lo svolgimento delle loro attività imprenditoriali, in un meccanismo sia per lo sviluppo, l’investimento e la crescita aziendale, ma anche nei momenti di difficoltà per il sostentamento e la copertura dei costi è oggi un mero ricordo. Infatti la tendenza che si è consolidata negli ultimi anni circa l’inversione del ciclo dei profitti, riducendo il potenziale dello sviluppo autonomo delle aziende, ha rafforzato l’influenza degli enti creditori nell’economia del Paese dando un potere enorme alle banche stesse.

Questa crisi economica da covid, che ha colpito in gran parte la piccola media impresa, con l’aumento esponenziale dei fallimenti avuti negli anni passati e certificati dai dati Istat, relativi a questa voce, ha ingenerato di conseguenza nelle banche l’aumento delle perdite sui crediti alle aziende, complicando i rapporti tra il mondo della Finanza e la realtà imprenditoriale italiana. I recenti casi di cronaca non cessano di mostrare come il rapporto Banca-Impresa sia sempre più teso e ai limiti delle responsabilità penali: istituti di credito implicati a loro volta in importanti crack finanziari e imprese mantenute in vita grazie a discutibili attività di finanziamento.

Tutto ciò, ha messo in risalto, come l’istituzione bancaria abbia perso quel profilo sociale che la rappresentava. Vero è che la banca avrebbe dovuto sempre attenersi ai principi di correttezza e diligenza, tipici della sua attività, situazione non applicata, dopo le verifiche dei recenti simil-crack di alcuni istituti (vedere Vicenza, Bari, ecc.). A mio avviso, il rapporto di concessione del credito tra istituto e impresa non si esaurisce in sé stesso, ma presuppone un profilo di rilevanza pubblicistica: ovvero l’affidamento del terzo circa la precisa erogazione del credito da cui discende l’affidamento circa la solidità dell’impresa finanziata.

E’ anche vero che, se alla fine del secolo scorso gli istituti di credito sembravano aver acquisito giuridicamente una situazione privilegiata in ordine alle responsabilità nei confronti del cliente e dei terzi, in questi ultimi anni, le vicende giudiziarie dimostrano come i Giudicanti hanno compiuto la scelta di sanzionare in termini di responsabilità il comportamento della banca per gli eventuali danni causati al cliente e ai terzi nell’esercizio dell’attività: l’ingiustificata revoca dell’affidamento, il caso di abusiva concessione di credito, nonché tutti i casi in cui la banca concorra a diverso titolo nei c.d. reati fallimentari.

In un momento ‘Covid’ come questo è fondamentale quanto indicato nel decreto Cura Italia, infatti l’importanza e la responsabilità della banca, inserite nel decreto stesso, riportano la banca ad avere un atteggiamento di massima attenzione nei confronti di colui il quale effettua la richiesta per evitare eventuali problemi successivi.

Al riguardo sorgono alcuni dubbi, che spingeranno a riflessioni successive più profonde:

1.       La ‘partita iva’ finanziabile ora non è certo abbia un ciclo di vita nel periodo indicato come durata del finanziamento.

2.       La responsabilità oggettiva e soggettiva del deliberante è normata da tempo, da una serie di leggi che fanno parte del Testo Unico Bancario, e di eventuali successive modifiche, perché in questo preciso istante storico si fa attenzione maniacale all’erogazione della liquidità?

3.       Non era il caso di erogare incondizionatamente a tutti senza alcun controllo, considerando il punto 1 e avendo contezza della garanzia dello Stato come ultima ratio?

4.       Il confronto con altri paesi europei non è praticabile, proprio perché in Italia vige il TUB. Infatti, ad esempio, in alcuni ordinamenti europei, quali quello francese o belga, il profilo di responsabilità extracontrattuale della banca non assume di certo caratteri di straordinarietà, si consideri che con le codificazioni dell’Ottocento si apre, nei paesi dell’Europa Continentale, e nonostante la base comune romanista, una netta divaricazione fra il modello francese, adottato dal Code Napoléon del1804, e il modello tedesco, elaborato dalla pandettistica e confluito alla fine del secolo nel BGB. Il primo opta per la atipicità dell’illecito, innovando rispetto al diritto romano, il secondo per la tipicità dei casi di responsabilità extracontrattuale restando maggiormente fedele alle fonti romanistiche.

5.       TUB e parametri di Basilea si fondono sempre di più con il passare degli anni, ma questa fusione tra pratica e legislazione riportano ad un mix ingestibile nel ns. paese, facendo considerarci la banca sempre di più come un ente profittatore rispetto al bisogno di liquidità della partita iva.

Tutto ciò sopra indicato si basa, anche, ma non solo, sull’articolo del codice civile 2043 che indica ‘qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno [2058], pertanto la concessione abusiva del credito, è ovviamente bivalente, nell’ambito giuridico, vi può anche essere una visione ‘al contrario’.

Se si approfondisce la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 7030/2006 la Corte individua una duplice responsabilità in capo alla banca in ordine al danno subito da abuso di credito: una di natura extra-contrattuale in capo ai terzi, e una di natura contrattuale derivante da un danno diretto cagionato al patrimonio della stessa società fallita.

Quindi nell’ambito del decreto Cura Italia vi è una doppia arma, una a favore della banca, certamente ben carica e molto più potente, ma vi è anche un’arma a favore dell’azienda, arma più piccola ma capace, comunque, di creare un danno alla struttura finanziaria che non può, o non vuole erogare, il credito, lasciando la partita iva (di qualunque entità essa sia) al suo destino.

Dott. Mario Mirabelli

Centro Servizi San Geminiano Modena



Fonte:

ISTAT

Broccardi.it

Dirittopenaleglobalizzazione.it

venerdì 15 maggio 2020

L'IMPORTANZA DELLA VALUTAZIONE DI AZIENDA AL TEMPO DEL CORONA VIRUS COVID 19


Il professionista e la valutazione d’azienda

A cura del Dott. Mario Mirabelli - Centro Studi Analisi Statistiche - Modena



La valutazione d’azienda, dal punto di vista tecnico, nell’ambito dei criteri di analisi e di studio delle attività aziendali, ha sempre più subito un notevole cambiamento sia in termini di sostanza che in termini di forma, arrivando ad essere sempre più volgarizzata.

Ciò è avvenuto sia per una cattiva informazione sull’utilizzo finale, sia per una sorta di “timore”, da parte del professionista di riferimento, nel fornire alla proprietà, quel valore dell’azienda che spesso può non coincidere con quello atteso dalla stessa. Prima di dare una definizione, poniamo l’attenzione sulle varie, ma qui da ribadire, motivazioni che ruotano intorno alla classica valutazione d’azienda. Le motivazioni legate ad una richiesta valutativa possono essere di varia natura e possono riguardare:

• Cessioni/acquisto d’azienda o di un suo ramo; • Emissione di azioni/obbligazioni; • Recesso/ingresso di un socio; • Fusione, scissione, scorporo, trasformazione, cessione di quote; • Conferimento in società; • Aumento di capitale; • Apporto d’azienda; • Procedimenti giudiziali o stragiudiziali; • Esproprio per motivi di pubblico interesse; • Rapporto con le banche; • Affitto d’azienda; • Procedure concorsuali; • Divisione di azienda; • Giudizi arbitrali; • Donazione d’azienda.

Evidenziando come, anche il settore informatico, sia di aiuto alla classica valutazione di azienda con una presenza sempre più marcata, di software di vario tipo e qualità, che utilizzano i più svariati metodi di valutazione, si evince che non esistono più particolari ostacoli tecnici alla stima di una azienda. In questo contesto il fattore ed il valore aggiunto, forniti dall’esperto, fanno la differenza, come di seguito meglio si descrive. Ragioniamo partendo, dalla semplice definizione, chiave contenuta nell’articolo 2555 del codice civile: L’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. Il valore dell’azienda non coincide con quello dei singoli beni che la compongono, ma dall’unitarietà degli stessi, organizzati tra loro al fine di creare un valore aggiunto derivante proprio dal loro rapporto armonico e sinergico. Quando si parla di azienda si deve comprendere l’universalità dei beni e dei rapporti ad essa facenti capo, composti dai beni materiali (mobili ed immobili) ed immateriali, dai rapporti con il personale e con la clientela, dalle posizioni attive e passive, nonché dalle scelte imposte dall’imprenditore al fine di perseguire lo scopo di lucro.

L’azienda ha l’obiettivo di creare valore aggiunto continuativamente nel tempo. L’esperto di riferimento è coinvolto, oggi come ieri, sempre più nel rapporto armonico e sinergico che si va a creare. Nel concetto di partenza, per valutare un’azienda, è indispensabile considerare l’avviamento. Il dilemma è spesso legato alla quantificazione di tale valore, che può essere ovviamente soggettiva oppure oggettiva, a seconda che si valorizzi la persona dell’imprenditore (o della proprietà) o il maggior valore creato dal rapporto tra fattori produttivi e le attività e passività facenti capo all’azienda, in questo caso vengono utilizzati in dettaglio i dati contabili, utili successivamente anche per la stesura del bilancio.

L’avviamento è individuabile nella capacità dell’azienda di conseguire redditi nel tempo e la sua attitudine ad ottenere utili; va pertanto inquadrato come una vera e propria “qualità dell’impresa” sulla quale incidono numerosi fattori, dalla clientela all’organizzazione aziendale, dall’ubicazione all’abilità gestoria dell’imprenditore. L’avviamento può essere il fulcro ed il principio di tutta la valutazione insieme agli altri parametri che sono altrettanto importanti ma individuabili come il corretto contorno. Tenendo ben presente il concetto della curva relativa al ciclo di vita di un’azienda, che parte da zero arrivando ad un punto massimo, per poi ritornare verso lo zero, tale impostazione concettuale mette in risalto e caratterizza i cambiamenti e gli sviluppi dell’azienda nel tempo. Dapprima nasce il progetto imprenditoriale che verrà sviluppato, il quale può attraversare fasi congiunturali altalenanti (alte, stabili, basse …).

Raggiunto lo scopo sociale l’impresa può essere venduta, trasmessa a successori o addirittura liquidata e cessata. Tutto questo mette in risalto quanto sia importante il perché tenere in considerazione “gli avviamenti”, perché infatti anche un’azienda con difficoltà oggi, ha avuto un avviamento, che è comunque da considerare, nel suo passato;, così come un’azienda solida oggi ha avuto, ieri un avviamento da considerare nell’ambito valutativo. Ritornando alla precedente indicazione concettuale di avviamento, non è un caso che nell’attuale entrata in vigore di Basilea 4, che va ad affiancare, per poi più avanti sostituire gli oramai famosi parametri di Basilea 2 e Basilea 3, l’avviamento abbia una rilevanza di ampio peso valutativo.

Ritornando alla precedente indicazione concettuale di avviamento, non è un caso che nella futura entrata in vigore di Basilea 4, sono gli accordi internazionali sui requisiti patrimoniali delle banche, regole che stanno avendo ricadute importanti sull’accesso al credito (come avevano con Basilea 2 e Basilea 3) di cui possono godere oggi ed in futuro le imprese. Valutare un’azienda significa prendere in seria considerazione principalmente elementi informativi che non sempre sono identificabili nei numeri, ma è proprio su questi che possono reggersi tutte le analisi e teorie successive.

È naturale che poi subentrino, nel giudizio del valore dell’azienda, numeri e concetti di derivazione quali-quantitativa, poiché il giudizio è fondato anche sulla soggettività, relatività e indipendenza operativa e professionale dell’esperto cioè del valutatore, nonché sulla sua autonoma capacità di valutare. La differenza nell’ambito valutativo, quindi, la fa il professionista, rendendo la stima di un’azienda non più un’operazione complessa e difficoltosa, variabile a seconda delle finalità per cui la si effettua, del metodo utilizzato e della persona che la valuta, ma da attuarsi con l’applicazione di metodi logici, dimostrabili, chiari e condivisi. Una perizia non potrà mai essere oggettiva, ma per poterla rendere il più obiettiva possibile è necessario porre in essere alcuni accorgimenti: 1) fare riferimento a giudizi esterni al proprio ambito valutativo come ad esempio confronti con altre stime, col prezzo negoziato, con risultati di valore in campi similari, con dati di comparazione; 2) ricorrere ad una pluralità di criteri valutativi, presupponendo che “le incongruenze” dovute alla scelta del metodo possano in tal modo essere eliminate per compensazione con un altro metodo; 3) raccogliere un numero di informazioni il più ampio possibile da vagliare e analizzare. In tali occasioni un supporto fondamentale viene dall’imprenditore che più di chiunque altro conosce l’azienda. La sua competenza è insostituibile per valutare lo stato delle macchine, le potenzialità produttive di un complesso funzionante, la qualificazione del personale, la composizione dei costi, le scorte e il mercato. Anche in una fase di sviluppo aziendale. Scrive Luigi Guatri, precursore teorico e pratico della Valutazione d’Azienda in uno dei suoi trattati: ‘i risultati delle valutazioni aziendali sono spesso intesi (e proposti) come dati certi: siano essi espressi entro definiti “intervalli”, o ancor più con una cifra unica che vorrebbe lasciar intendere una precisione quasi infinitesimale. Nulla di più falso! Simili convincimenti sono pure illusioni, remote dalla realtà.’



1: Basilea 4 fa riferimento a normative di diversa origine e natura che modificano le precedenti regole prudenziali adottate dalle banche denominate “Basilea 3″. L’entrata in vigore è prevista dal 2021 al 2027 in maniera progressiva e nel rispetto dei Modelli Standard per la misurazione del rischio.

2: Basilea 3 dovrebbe superare gli ostacoli della precedente formulazione dando più rilevanza agli aspetti locali dell’economia, rendendo non più flessibile, ma più idonea la valutazione delle singole fattispecie. Per fare un esempio pratico, si è riscontrato come un credito non portato all’incasso nei 180 giorni per una azienda del Nord Italia sia un credito praticamente in insolvenza mentre nel Sud della penisola sia perfettamente normale una simile situazione. Un credito non portato all’incasso nell’esercizio deprime il reddito operativo, il R.O.E., il R.O.I. con tutte le conseguenze del caso.

2: Con Basilea 2 si assegna un coefficiente di rating all’impresa che richiede un finanziamento; in base a tale valutazione si stabilisce quanto l’azienda sia affidabile e quale sia il costo che la stessa sostiene nell’acquisto del denaro. Nel definire i parametri per l’assegnazione del rating fondamentale per gli istituti di credito è la valutazione della capacità espressa dall’impresa di remunerare il capitale proprio e quello dei terzi.

mercoledì 6 maggio 2020

LA LEGGE 3/2012 SOVRAINDEBITAMENTO O ANTISUICIDI

La legge sul sovraindebitamento (Legge n. 3 del 27 gennaio 2012), definita anche ‘legge antisuicidi’ o legge ‘salva debiti’ permette a chi è in gravi difficoltà economiche di liberarsi dai debiti, riducendone l’ammontare, e dilazionando i pagamenti, attraverso una procedura presso il tribunale chiamata esdebitazione. È sostanzialmente la considerazione dei debiti del debitore civile, ma non solo, come vedremo di seguito.
Per accedere alla procedura di esdebitazione occorre:
- essere un soggetto non fallibile o essere un debitore che non svolge attività imprenditoriali o professionali (condizione soggettiva);
- trovarsi in una situazione di sovraindebitamento, ovvero aver contratto debiti a cui non è più possibile far fronte (condizione oggettiva).
La Legge sul sovraindebitamento riconosce al debitore la facoltà di redigere un accordo con i creditori. La proposta viene redatta con l’ausilio degli Organismi di Composizione della Crisi (OCC), istituiti c/o ogni Tribunale, che sono rappresentati da Commercialisti o Avvocati, iscritti rispettivamente ai propri ordini e che abbiano sostenuto un corso abilitante ad hoc, si sostanzia in un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano di ammortamento degli stessi, che assicuri il pagamento dei debiti contratti senza pregiudicare i diritti di chi all’accordo non ha aderito. Tale proposta di accordo verrà sottoposta al Giudice tramite l’OCC designato (possiamo assimilarlo ad un Consulente Tecnico di Ufficio), che rimane super partes. L’elemento in grado di incidere sensibilmente sulla posizione del debitore in difficoltà risiede nella possibilità di sospensione di ogni azione individuale esecutiva da iniziarsi o già in corso.
Le procedure di sovraindebitamento sono tre: il piano del consumatore, l’accordo di composizione della crisi e la liquidazione. La prima è accessibile solo ai consumatori, cioè alle persone fisiche che abbiano contratto debiti per scopi estranei all’attività di impresa o professionale, eventualmente svolta. La seconda è accessibile, nella legge da tutti i soggetti non fallibili, anche dai consumatori (pur essendo a loro già riservata una procedura ad hoc e cioè il piano del consumatore). La terza riguarda tutti.
Accade, che se la procedura viene accolta, vi è la sospensione di tutti i debiti fino a quel momento in atto, (per legge vi è la sospensione anche delle eventuali procedure esecutive) e si effettua la rimodulazione della posizione debitoria nei confronti di tutti i creditori indicati.
In futuro la legge 3/2012 doveva confluire nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (Decreto Legislativo 12 gennaio 2019, n. 14) in data 15.08.2020 ma, tale entrata in vigore è stata rinviata al 01.09.2021.
A mio avviso, da un punto di vista meramente tecnico oltre che pratico, questo slittamento è da considerarsi un errore, proprio in virtù del periodo storico in cui ci troviamo.
Relativamente alle richieste effettuate, si consideri che per il solo anno 2018, si hanno i seguenti numeri, per il nord oltre 1.700 procedure, per il centro oltre 560, per il sud oltre 1.220.
Il tasso di accoglimento è di poco superiore ad una media del 23%. In alcuni casi vi è l’errata impostazione della domanda, oppure, il rigetto per mancanza dei requisiti.
In base alla mia personale esperienza professionale ritengo che questo dato debba essere visto come un punto di partenza, a maggior ragione per la situazione economica che si verrà a creare post epidemia.
Dott. Mario Mirabelli
Centro Servizi San Geminiano Modena
*fonte dei dati: Istat, Ministero della Giustizia, Il Sole 24 Ore, Italia Oggi, Milano Finanza

sabato 2 maggio 2020

NUMERO DI SUICIDI PER MOTIVAZIONI ECONOMICHE, ANALISI STATISTICHE E NON SOLO



Premesso che il 9 maggio 2012 avevo già affrontato tale argomentazione analizzando i dati che all’epoca erano reperibili sui vari siti istituzionali, premesso il rispetto assoluto per chi purtroppo fa una scelta così estrema in un momento non certamente facile e/o felice della vita, ho necessità, da statistico quale sono, di porre massima attenzione su alcuni numeri inerenti questo argomento che stanno facendo capolino nell’ambito delle informazioni di cronaca.

A mio avviso va fatto un confronto più ampio sui dati di vari anni, ad esempio, il 2005 i suicidi ‘accertati’ per motivi economici (accertati dalle autorità di pubblica sicurezza), sono stati 123 rispetto ad un totale suicidi italia di 2892. Mentre nel 2010 abbiamo avuto 187 suicidi ‘accertati’ per motivi economici rispetto ad un totale generale di 3048 suicidi.

Va considerato che l’Istat da anni, non prende in considerazione rilevazioni specifiche nel campo dei suicidi per motivazioni economiche, (scelta tecnico/informativa che non ho mai compreso), alla fine del presente lavoro ho inserito le fonti da cui ho attinto tutti i dati sottoelencati.

Arrivati a questo punto invito ognuno a fare le proprie valutazioni sui successivi dati e relativi solo ai suicidi per motivazioni economiche.



Anno 2012 n° suicidi per motivazione economica 89

Anno 2013 n° suicidi per motivazione economica 146

Anno 2014 n° suicidi per motivazione economica 201

Anno 2015 n° suicidi per motivazione economica 189

Anno 2016 n° suicidi per motivazione economica 147

Anno 2017 n° suicidi per motivazione economica 103

Anno 2018 n° suicidi per motivazione economica 110

Anno 2019 n° suicidi per motivazione economica 98

In media la fascia più colpita da questa ecatombe è quella che va dai 34 ai 64 anni.

Sarebbe il caso, secondo la mia opinione, di riflettere bene su questi dati.

Nel primo bimestre 2020 da siti web e giornali locali si evince un dato pari ad un numero di 29 (?) suicidi dovuti a problematiche economiche, ovviamente è un dato parziale e ripeto basato su notizie giornalistiche, ma chiedo, perché non si fa riferimento ai numeri precedentemente indicati per evitare, quella che citavo prima come una ecatombe ulteriore?

Perché non si prendono provvedimenti seri e concreti sulla situazione economica attuale?

Perché non si va a definire una strategia di supporto concreta da parte delle amministrazioni locali nei confronti dei soggetti meno tutelati a livello psico/sociale? La classe politica dal nazionale al locale conosce certamente questi numeri, perché non si affronta una volta per tutte l’argomento, in maniera pratica e non teorica?

Perché non si parla di un problema così grave, affrontandolo in maniera diretta, invece di riportare un trafiletto in cronaca locale?

Perché non si crea uno sportello di supporto locale, che con l’ausilio di professionisti ‘ascolta’ costruttivamente (attività non praticata dai più coinvolti nella politica attuale), le problematiche di un imprenditore, di un pensionato e/o di chiunque altro possa avere la necessità di ‘sfogare’ le proprie ansie, e la stessa amministrazione politica non mette in contatto il soggetto con problemi economici con professionisti che possono aiutarlo ‘gratuitamente’ ad uscire da una situazione a dir poco difficile, da un punto di vista psicologico prima ed economica poi?

Perché si continua a mettere la polvere sotto il tappeto, in un paese definito democratico e propenso all’industria, che ha una massima attenzione verso l’ambito sociale? (oppure queste parole: industria, sociale, vicinanza, ecc. ecc. le vogliamo utilizzare negli slogan pre e post elettorali?)

Questo argomento va affrontato proprio perché ci troviamo in un periodo delicato come quello che stiamo attualmente vivendo.

Si diceva, prevenire è meglio che curare, ma sembra che il numero di politici e addetti a determinate tematiche siano sempre di più interessati a fare orecchie da mercante, e che tale atteggiamento sia oramai culturalmente diffuso nei confronti di una argomentazione così delicata, che porta sempre di più ad una immane ecatombe sociale…

Dott. Mario Mirabelli

Consulente Aziendale Modena



Fonte dei dati:

Osservatorio suicidi per motivazioni economiche

Università di Padova

Università degli Studi Link Campus University

Istat